sabato 16 agosto 2025

Letti & Piaciuti: OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI di Gabriele Prinelli - Gemini Grafica Editrice (2025)

COME SOLO LE BELLE STORIE SANNO FARE

di Claudio Montini


Finalmente c'è del bello e del nuovo nell'asfittico e sovraffollato panorama letterario italiano, ricco di titoli e parole e iperboli e altre stravaganze spacciate per cultura del terzo millennio: tutta roba già vista o sentita, rimasticata e di nuovo sputata malamente, riscaldata o rivisitata con abbondanti dosi di presunzione, superbia e alterigia culturale da professorini compunti, impomatati e incipriati ancora convinti di portare la luce nei campi e alle masse operaie. 
OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) di Gabriele Prinelli è il piccolo gioiello che non può mancare alla vostra biblioteca, l'eccezione che conferma la regola, la storia o la fiction che stavate aspettando, il romanzo apparentemente leggero e d'evasione che invece è ricco e gustoso dal punto di vista dello stile e dei contenuti, poiché si legge senza fatica a tutti i livelli d'istruzione e si “vede” come se si fosse di fronte a uno sceneggiato televisivo che va in onda davanti ai vostri occhi parola dopo parola, riga dopo riga, pagina dopo pagina senza perdersi in voli pindarici, minuziose descrizioni ambientali o altri stravaganze sintattiche o semantiche o linguistiche. 
Infatti l'autore, milanese di nascita e lomellese d'adozione per amore, della sintesi tipica dei poeti capaci di illustrare scenari immensi e complessi anche con una sola frase, del ritmo serrato proprio dei giornalisti e dei cronisti dei tempi andati (vale a dire quelli in cui quella professione era ancora una cosa seria), della cura e della precisione linguistica e grammaticale intesa come scelta artistica di esprimersi nel miglior italiano possibile, riesce a fare di tutto ciò i propri punti di forza e a suscitare fascino, attenzione e interesse crescenti verso l'opera sua, pur maneggiando temi ed elementi e “materie prime” tipiche e peculiari del romanzo “noir” e dell'intera letteratura “gialla” presente, passata e mondiale che, infine, risulta essere protagonista occulta o “spalla” ispiratrice del personaggio principale. 
C'è un omicidio, quello di una giovane donna rinvenuta cadavere a bordo di natante di lusso alla fonda presso il porto di una cittadina adriatica e marchigiana; lo yacht in questione appartiene a un facoltoso industriale e uomo d'affari, a sua volta, amicissimo di un esponente politico nazionale già catapultato dal proprio partito in quella regione e da quel collegio elettorale “miracolosamente” approdato al parlamento della Repubblica Italiana. 
C'è la presunta quiete della provincia italiana che viene, dunque, messa seriamente in discussione e l'avvio delle inchieste, giudiziarie e giornalistiche, interessate più al ripristino del quieto vivere o alla condanna morale preventiva tanto di vittima quanto dell'ignoto carnefice che alla ricerca di una qualche verità, legale o fattuale. 
Quest'ultima, per altro, come tessere di un mosaico divelte e portate a spasso dalle correnti del Mare Adriatico, si muove alla deriva lambendo altri territori d'indagine e di scandalo rispetto all'evento delittuoso accaduto alla Marina dei Cesari di Fano (PU), per farvi ritorno grazie a un disinteressato ma attento osservatore, un “umarell” da cantiere squisitamente letterario, poiché già bibliotecario ma ora in pensione, il quale, forte delle sue letture e degli insegnamenti che ha ricavato da esse oltre a una serie di capoversi notevoli che si è appuntato mentalmente e fisicamente, unisce i puntini del disegno cifrato e risolve il rebus mettendo in fila dati, eventi ed ipotesi. 
Come Agatha Christie docet nel finale di Dieci Piccoli Indiani, egli affida la dimostrazione della propria tesi sulla dinamica del delitto a una lettera anonima, che il direttore de Il Resto del Carlino non leggerà mai ma che aiuterà le forze dell'ordine a risolvere il caso, limitando i danni collaterali per i sopravvissuti e una sorta di giustizia tardiva per la vittima. 
Insomma, tutti guadagneranno più di quel che rischiavano di perdere e il quieto vivere stabilmente tornerà a dominare la Marina dei Cesari in Fano (PU). 
Dunque, in OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) di Gabriele Prinelli, gli ingredienti per un buon giallo leggibile e godibile in tutte le stagioni ci sono tutti: ciò che lo rende una meravigliosa, piacevole e divertente novità è la sua scorrevolezza narrativa schietta, misurata, elegante e chiarissima, mai banale né scontata e neppure stravagante a titolo gratuito, che non distrae il lettore ma lo invoglia a non staccarsi dalle pagine. 
Inoltre è notevole e deliziosa la precisione chirurgica con cui mette in mostra l'ipocrisia manichea, la superficialità, il cinismo imbarazzante congeniti nella società italiana, a partire soprattutto dai livelli intermedi e andando a salire a quelli dirigenti, cui non si oppone ma si adegua il mondo dell'informazione ormai troppo più attento al contenitore che ai contenuti e, di conseguenza, meno che mai alla verità nella ricostruzione delle dinamiche dei fatti. 
Vale a dire che le domande da porsi sono evidenti e qualcuno ci prova a interrogarsi e interrogare ma, per evitare di calpestare calli importanti o avventurarsi in un campo minato senza mappa o per altri interessi o tornaconti personali, non si sforza di aspettare risposte o di andarle a cercare come invece insegnano, a modo loro, tutti i capolavori della letteratura del passato e i loro personaggi di punta che Prinelli, lettore a sua volta, adopera con garbo e maestria per spalleggiare i ragionamenti del suo antieroe e solutore più che abile di enigmi. 
Il lavoro che l'autore ha fatto sull'idea, prima, sulla sceneggiatura, poi, sul testo, infine, è opera di cesello da orafo geniale alla Benvenuto Cellini, di sottrazione e condensazione e distillazione di essenza rara da raffinato e abile profumiere d'altri tempi: esso dona ritmo serrato e corpo e spessore di tipo teatrale a tutto l'impianto narrativo e ai personaggi, minori e maggiori, senza stravaganze né espedienti retorici o eccessi descrittivi. 
In ultima analisi, OMICIDIO ALLA MARINA DEI CESARI -Il giallo dell'estate (Gemini Grafica Editrice, 2025) è un romanzo che si legge con piacevole agilità e si “vede” nella mente con netta immediatezza sin dalle prime battute grazie alle parole scelte con cura dall'autore, Gabriele Prinelli, per sentirsi accanto a lui dietro la macchina da presa o presso una quinta del palcoscenico sul quale ha allestito questo giallo dell'estate, buono da leggere e gustare in tutte le stagioni dell'anno poiché capace, come pochi ultimamente, di materializzarsi nel lettore senza ansia e senza sforzo e senza altre noie ad ogni volgere di pagina lasciando soddisfatti e sazi come solo le belle storie sanno fare.

©2025 Testo e immagine di Claudio Montini 

venerdì 8 agosto 2025

Una cosa bella nella vita: una passione mai sopita

Contro l'oblio dell'età

di Claudio Montini

Non ti chiedo come stai
ci penso sempre e lo faccio mai.
Mi accontento di sapere che ci sei,
sempre più lontana di quanto vorrei.
Conosco il numero ma non ti chiamo:
se non riuscissi a dirti che ti amo,
metteremmo in fila solo i nostri guai.
A volte, davvero, mi chiedo come fai
ad essere la parte migliore di me,
cioè quel che non ho saputo dare a te,
a correre incontro alla vita
a braccia aperte e faccia divertita,
così come viene, un giorno alla volta.
La questione non si è mai risolta
rispondendomi che non sono fatti miei:
se ascoltasse, al cielo domanderei
che tu possa incontrare altri due occhi felici
di condividere ciò che sei, fai o dici.
Sarei il primo a congratularmi,
pur sapendo che rimarrà a consolarmi
un ricordo, un sorriso, forse una poesia
e poco altro che l'oblio dell'età si porterà via.

©2025 testo di Claudio Montini
©2024 Immagine di Orazio Nullo  


domenica 3 agosto 2025

Ortiche di Andrea Stefanet dall'album "Il rumore del vento"


Quando il Nebraska di Springsteen e il basso Piemonte di Andrea Stefanet e soci si incontrano, si somigliano e non hanno alcunchè da invidiarsi perchè sprigionano la stessa energia creativa! Ascoltare per credere!!
Claudio Montini

mercoledì 9 luglio 2025

L'ombra in fondo al viale - Notturno, seconda stagione: puntata n. 23

Troppo tardi per volerti bene

di Claudio Montini

C'era un'ombra in fondo al viale di una casa che, tanto tempo prima, era stata sua e che aveva lasciato senza rimpianti, certo di non doverci mai più tornare.
Eppure, era di nuovo lì a cercare qualcosa che credeva di avere perduto o dimenticato, un dettaglio o un accessorio o un ricordo, forse un nome o un volto.
Avrebbe potuto domandare un'indicazione, un suggerimento, un'informazione a quell'ombra dal profilo umano, immobile nella penombra del viale, al limite della sua vista però difficile da evitare poiché coincidente col punto focale della prospettiva: ma non aveva alcuna intenzione o voglia di farlo perché si trattava esattamente dell'appuntamento con l'ignoto che, già fissato a sua insaputa fin dalla nascita, non sarebbe stato procrastinato.
La discesa, del resto, era già cominciata e quel viale dei passi perduti ne faceva parte.
Si dice che l'assassino, non si sa per quale malsano ragionamento, ritorni sul luogo del delitto e si mescoli ai curiosi, domandando opinioni e mendicando notizie.
Sarebbe stato meglio per tutti, se fosse partito di nuovo sebbene il futuro fosse ormai alle spalle e non potesse pare altro che dimenticare il male fatto, anche inavvertitamente, o rimpiangere il bene ricevuto, inaspettatamente o immeritatamente, ma mai abbastanza ricambiato.
Partire?
Per andare dove?
Per uscire e poi rientrare?
Per separarsi e quindi allontanarsi?
Per chiudere un portone, un capitolo, una storia e ricominciare, con la medesima faccia di bronzo, a commettere gli stessi errori altrove?
Senza l'ombra di un pentimento, di un ripensamento, il graffio di un rimorso?
Sentiva di essere una particella, dotata di massa ed energia, in balia di forze ostinate e contrarie e imponderabili, ormai non del tutto ignote anche alla scienza: tuttavia la figura irriconoscibile in fondo al viale, fece cenno di avere le risposte tanto agognate.
«Non ho più paura di te, anche se non ti conosco e, quasi certamente, non conoscerò il giorno in cui arriverai a prendermi per mano.
Hai seguito tutte le mie orme e, talvolta, hai camminato al mio fianco.
Non mancherò al nostro appuntamento, è già stato dato e fissato: ci arriverò, come al solito, per la via sbagliata o quella più complicata ma, sicuramente, quella più lunga ad ogni costo.»
L'ombra in fondo al viale, adesso di casa sua, indicò la discesa e il ponte d'argento e il cancello di ferro dorato in fondo ad essa, accettando la sfida.
«La vita, a volte, è una barzelletta scritta male e raccontata peggio: ti lascia lì dove sei, tramortito o stecchito, poco le importa della differenza, senza fare ridere oppure fare piangere nemmeno gli sciocchi o gli ignoranti, gli intelligenti o i sapienti, gli spiriti semplici e quelli sofisticati.
Rimpiango i tempi in cui c'era ancora la pietà.»
Intanto il tramonto introdusse la sera che, a sua volta, cedette il posto alla notte la quale, tuttavia, si guardò bene dal portare consiglio o sogni e si dileguò alle prime luci dell'alba, insieme alla luna e tutte le altre stelle.
Per tutto il tempo, almeno fino ai primi chiarori del giorno, l'ombra in fondo al viale del tempo perduto non fece una piega: sapeva bene fare il suo mestiere e recitare la propria parte fino in fondo, senza tentennamenti, dal momento che non è necessario correre ma basta arrivare puntuali.
L'orologio senza lancette squagliato come un gelato sullo spigolo del tavolo, gli alberi spogli, la città vuota e i burattini senza fili, senza volto, senza prospettive dichiararono conclusa la ricerca e passarono davanti ai suoi occhi mentre la sabbia della clessidra scendeva imperterrita, ignara oppure perfidamente consapevole di essere prossima ad esaurirsi.
Il figlio di una tempesta ormonale si mise la giacca, s'aggiustò il nodo della cravatta, abbottonò i polsini della camicia e prese il cappello non prima d'aver spazzolato a lucido le scarpe, allacciate con cura e pazienza: non aveva altro da fare che muovere qualche passo lungo il viale.
Lasciò un foglio bianco, senza segni, intonso sul tavolo e una matita ben appuntita a beneficio, così pensava, di chiunque si fosse trovato a fare a meno di lui.
Dopo tutto, in ogni pagina bianca c'è una poesia nascosta e, se pensi con amore e ami con intelligenza, non faticherai a leggerla.
Altrimenti lo farà l'ombra in fondo al viale di casa tua, mentre tu sarai già passato oltre e sarà troppo tardi per volerti bene.

©2025 testo di Claudio Montini
©2015 Immagine di Augusta Belloni condivisa dal profilo Facebook

sabato 5 luglio 2025

Sentenze da scrivano di campagna - episodio 1

Eternamente irraggiungibile... 

di Claudio Montini

Un manipolo di eroi non cambia il corso degli eventi.
Avete voglia a scandire slogan, seccandovi le fauci e graffiandovi la gola, a organizzare marce e vertici e raduni: la verità è amara ed è una sola. 
Quale? Siete ancora così ingenui e sprovveduti da non aver compreso alcuna lezione dalla Storia?
La rivoluzione dei "se" e dei "ma", senza copertura finanziaria, non si fa e non si farà finché alcun gettone non cadrà nell'apposito cassetto. 
Le belle parole sono munizioni senza ogiva né polvere da sparo: si perdono nel vento come il fumo del tabacco che brucia tra le dita, mentre il petrolio riempie un barile dopo l'altro, il rifiuto speciale una buca in una terra ignara, l'uranio arricchisce l'ennesimo tiranno e signore della paura.
Intanto, la fame e i medicinali scaduti insieme a quelli negati per calcolo economico fanno piazza pulita del superfluo materiale biologico esausto, difettoso, in esubero oppure obsoleto.
In un libro vecchio quanto il mondo e, mai come oggi abusato e misconosciuto, un saggio sconosciuto scrisse che c'è un tempo per ogni cosa, sotto al cielo che sovrasta gli uomini.
A lui non piaceva il suo tempo, a me non piace questo che stiamo vivendo: eppure, entrambi, dopo millenni, stiamo ancora cercando di rintracciare Dio per chiedergli conto del peccato che avremmo commesso per meritarci un simile castigo.
Che abbia spento il telefono? Sembra eternamente irraggiungibile...

©2025 testo di Claudio Montini
©2021 immagine di Orazio Nullo "Partnership" da Atelier Des Pixels gallery

lunedì 30 giugno 2025

Un omaggio per il giorno dei santi Pietro e Paolo...

Un ricordo di "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA"

di Claudio Montini
 Anche se il giorno dei santi Pietro e Paolo si è già concluso, mi ostino a celebrarlo condividendo con voi un piccolo brano tratto da "UNA PASSIONE DI FAMIGLIA" , volume 11 della serie "GLI ATOMI - micro romanzi per chi va di fretta" autopubblicato un po' di anni fa. Si tratta di una storia del tutto vera anche se interamente sognata dal sottoscritto, durante un brevissimo ricovero ospedaliero e un'esperienza di pre-morte di cui rendo conto nel libro stesso.

[...]
Mi guardavo intorno e non trovavo risposte alle incongruenze, ai dubbi, alle dissonanze di quell'esperienza che interessava i cinque sensi ma non poteva essere vera.
"Sono finito in un altra dimensione? Sicuramente fuori dal tempo e dallo spazio ordinario...
Come in un teatro di posa, dove i registi realizzano i sogni che hanno immaginato...
Eppure, io li vedo bene e ogni cosa è al suo posto nel cortile, persino i profumi e le voci e le tovaglie...
Tutto somiglia tanto a quella serata della fine di giugno di tanti anni fa, non avevo ancora la patente per guidare l'automobile...
Avevo il motorino ma non avevo ragazze da andare a trovare...
Ma sì, quell'estate in cui il giorno dei santi Pietro e Paolo era ancora festa nazionale e comandata, prima di essere abolita dal governo, insieme a tante altre l'anno successivo, addirittura con la benedizione dei preti per via del nuovo Concordato..." pensai, nonostante il sonno profondo.
No, non era per quello che ricordavo l'episodio: era, piuttosto, per l'aura di terrore che circondò la figura di mia madre prima, durante e dopo la serata e che ignorai volutamente per incosciente ottimismo d'adolescente.
La cena andò in onda al sabato e mia madre Elda, che lo seppe solo il venerdì pomeriggio, era già pronta alle esequie del consorte per lunedì, martedì al massimo.
Non erano passati che cinque mesi dal terzo infarto consecutivo che lo aveva colpito e lei, che avrebbe voluto rinchiuderlo sotto una campana di vetro mobile su cuscino d'aria come un hovercraft, si convinse che quella sarebbe stata l'ultima cena di suo marito.
Carlo, infatti, si esibì nel percorso completo e non si lasciò sfuggire una sola portata: antipasti misti di salumi e sottaceti, polenta e frittura con straccetti di lombo in umido, polenta e gorgonzola, scaglia di grana padano e torta gelato, innaffiando il tutto con una bottiglia intera di lambrusco imbottigliato un mese prima, giusto una settimana dopo essere arrivato in damigiana dai dintorni di Reggio Emilia grazie all'autotreno di un'attempato autista venuto a caricare da noi un carico di ritorno, mais destinato agli allevamenti della terra del parmigiano reggiano e del prosciutto crudo, per non rientrare senza remunerazione.
Si usa, nel mondo dell'autotrasporto, evitare andate o ritorni senza carico poiché non viene né fatturato né rimborsato dalle aziende committenti; allora, si cercano o si accettano carichi per consegna verso la strada di casa: in questo caso, a quel camionista erano toccate due consegne di grano tenero presso un mulino pavese e altrettanti “ritorni” di mais per uso zootecnico.
Non ho mai saputo come sia andata, come abbiano familiarizzato: probabilmente avranno parlato di trattorie e tradizioni culinarie, fatto sta che la seconda volta, dalla cabina del camion scesero due damigiane e salirono due scatoloni di confezioni di riso, una di Arborio e una di Carnaroli, che mio padre usava regalare sotto le feste di Natale ad amici e clienti di riguardo.
Forse già sapeva che il gran finale non era tanto lontano e voleva levarsi uno sfizio, voleva godersi la famiglia nel miglior posto nel quale quel concetto si esprime con generosità e voluttà: a tavola, davanti a piatti pieni e forchette pronte e bicchieri colmi.
Conoscendo i suoi polli, forse, ci stava pensando da parecchio ma si era ben guardato dal lasciarselo sfuggire di bocca; aveva scelto con cura le parole e le mosse da fare e da ispirare; aveva atteso il momento giusto e tutti recitarono, ignari, secondo il copione che da solo aveva immaginato.
Circondato anche da figli e nipoti e un paio di amici, proprio di quelli là così discreti ma presenti e cari più dei familiari, trascorse una bella serata beata e dormì sereno quasi senza russare; il giorno dopo andò pure a messa e trascorse il pomeriggio a fare fatture e registrare carichi e scarichi: la fine arrivò soltanto tre anni e mezzo dopo, in un letto d'ospedale e non in quello di casa.
Riteneva che l'agonia di un genitore non fosse un bello spettacolo per i propri figli e, d'accordo col medico di famiglia, volle fare un'ultima cosa per loro: farsi ricoverare affinchè non ne fossero spettatori impotenti.
©2020 - 2025 Testo di Claudio Montini diritti riservati
©2020 Immagine di Orazio Nullo diritti riservati

domenica 1 giugno 2025

Pro memoria da "FUORI TEMPO MASSIMO" di Claudio Montini (Independently published - 2024)

Una bibita fresca

Stava bene lì, finalmente in equilibrio, con la confusione e le voci che si sovrapponevano ai grilli e alle cicale che, alla faccia dello smog e dei semafori e del traffico, ripetevano senza sosta il loro concerto dedicato a madre natura con le coreografie dei piccioni e dei passeri e delle rondini.
Aironi, ibis e cavalieri d'Italia preferivano il mare a quadretti: dei nidi umani e dei loro inquilini non sapevano che farsene e non si fidavano affatto.

Peccato che il giorno vada a finire, scivolandoci come sabbia tra le dita. Non ho mai avuto un cuore da leone accanto a una donna che mi piace, cui vorrei dedicare tutto il mio tempo, cui vorrei dare tutto il mio piccolo mondo, cui vorrei costruire una casa sicura in cui non temere alcun male. 
Per darsi un contegno e togliersi dall'imbarazzo di uno sguardo profondo in cui, per un istante interminabile, le loro anime si erano scambiate di posto e avevano scorrazzato dietro le loro maschere pubbliche, Massimo aprì la Moleskine e gli consegnò tutte le parole di questo pensiero mentre Chiara intratteneva le pettegole di quartiere con cenni e saluti, secondo un codice segreto e ben collaudato, non senza richiamare all'ordine il pargolo fischiando come un arbitro di basket cavilloso ad ogni sua eccessiva esuberanza. 
Infilava indice e pollice ai lati della bocca, il pieno ai polmoni e via: Andrea l'avrebbe riconosciuto tra mille e altrettanti si sarebbero voltati per vedere chi fosse il detentore di quel perentorio richiamo; per alcune delle presenti non era una cosa elegante, non era da donne ma da pastori, per altre era una alternativa all'urlo a gola strozzata che terrorizza anche la Cina, per tutti era una tecnica difficile o impossibile da replicare, ivi compresa la successione di gesti con cui comunicava a distanza la sua inappellabile volontà.
Riposta l'agendina, la tasca opposta vibrò e suonò: il telefono cellulare lo avvisava dell'appuntamento con la dottoressa, il medico che aggiusta i cervelli sfasati. 
Meno male! Capita a fagiolo! Non sapevo proprio cosa dire per rompere il silenzio senza scadere nei soliti cliché, i migliori anni della nostra vita, che lavoro fai, come ti trovi, chi ti apre lo sportello, cosa fai stasera o domani o nel fine settimana... 
Scrutò lo schermo fingendosi accigliato e sorpreso; poi la guardò per scusarsi, inclinando la testa da un lato, assumendo una buffa espressione e ricorrere a una frase di circostanza. 
Chiara sorrise maliziosa quanto mai e lo prese in contropiede. 
«Il dovere chiama! L'ora d'aria è finita, il timeout è scaduto...»
«Come dici? Oh, questo? No, no... 
Non è come pensi, no... 
Del resto, io sono un'uomo libero, te l'ho detto quest'estate e l'inverno, poi, fa di me un uomo vegetale...  
Forse è per questo che sto bene qui, al parco: anzi, oggi sono stato meglio di tante altre volte...»  
«Le suore dell'asilo sostenevano che stare al sole fa bene al calcio delle ossa, specie nei bambini, ma il sole di primavera fa bene ad ogni cosa: perchè risveglia la vita, i colori...» 
Gli ardori mai sopiti degli amori inconfessati, senza fortuna e senz'altra consolazione che la fantasia, l'immaginazione. 
Eppure oggi siamo stati più vicini che mai: mi accontento di questa piccola fiammella, questa tremula illusione. 
«Se lo dicevano già loro, deve esserci del vero: vorrà dire che, da oggi in poi, ci verrò più spesso per correre ancora il rischio di incontrare così tanta bella gente.»  
A un orecchio distratto poteva sembrare una frase da romanzo d'appendice, invece lui si rese subito conto d'essere stato tanto sincero quanto non lo era stato mai: si alzò, salutò da lontano il bimbo e strinse la mano di lei con un impercettibile inchino che non mancò di turbarla piacevolmente; l'affettazione da primo novecento italiano era di gran lunga la sua favorita rispetto alla grettezza gratuita contemporanea, specialmente quando veniva scambiata per trasgressione o, peggio, per naturale evoluzione dei costumi.  
Non era una vergine di ferro, non era più da un pezzo, non c'era alcun aspetto dell'intimità e dell'umanità che fosse ignoto, se non altro per sentito dire: tuttavia, c'è modo e modo per gestirli, per vivere le pulsazioni naturali.  
Distolse lo sguardo dal controllo del nipote giusto il tempo per apprezzare la camminata e le spalle e tutto il resto dell'uomo, non più ragazzo con la chitarra, che si allontanava di nuovo in un'altra direzione incontro a un'altra donna.  
Era già stata protagonista di un simile film, non una volta sola e non aveva voluto credere alle chiacchiere proprio di una delle “sentinelle” che, anche oggi, avevano stenografato il labiale e non solo gesti e atteggiamenti.  
Chi se ne importa! 
A me basta il mio Andrea, che stia bene e sia felice: quando il suo campanello suonerà, si libererà della vecchia zia e si scorticherà il cuore come meglio crede... 
Nel frattempo, però, si accettano miracoli...  
Cioè, anche alla zia piacerebbe provare di nuovo...  
Se è vero, come è vero, che nulla accade per caso... 
Stiamo a vedere: domani è un altro giorno!
«Dov'è andato il signor Massimo, zia?»
«Aveva un impegno, un appuntamento che stava per scordarsi ed è corso a casa a prepararsi.» 
«Peccato. Volevo salutarlo. Anche lui ha una bella stretta di mano: sembra uno sincero, uno a posto come dice il nonno. Mi è quasi simpatico.»  
Anche a me... Anzi, di più... 
«Se ti può consolare, però, ha detto che è stato bene qui, sulla nostra panchina.
Ha visto tanta bella gente e tornerà ancora.» 
«Ah sì? Bene! Allora potremmo venirci anche noi più spesso, no, cioè, io volevo dire che ci puoi venire anche quando sono via, dai nonni, così voi due potete parlare liberamente... 
Così potete dirvi tutte quelle cose che i bambini, come me, non dovrebbero ascoltare o imparare dai grandi.» 
Era serio e placidamente consapevole delle parole uscita dalla sua bocca, il piccoletto, tanto che incassò lievemente la testa nelle spalle e allargò le mani coi palmi all'insù tenendo stretti i gomiti ai fianchi, per sottolineare la ragionevole ovvietà del suo pensiero e strappando un sorriso cordiale alla zia. 
Davvero questo “angioletto” ha soltanto cinque anni? 
Alla sua età, per me, il mondo degli adulti era un pianeta fuori dal sistema solare... 
E nemmeno sapevo cosa fosse un pianeta! 
«Grazie per il suggerimento, Andrea: ti prometto che ci penserò sopra. A me è venuta una gran sete: andiamo a vedere se Oreste ha già tirato fuori la macchina della menta e del tamarindo?»
«Zia... Ma tu sai leggere anche nel pensiero!! Sei la più bella zia del mondo, dai andiamo, andiamo che ho sete anche io!» 
Magari mi lasciasse anche prendere un sacchetto di patatine... 
Quelle con la sorpresa dentro... 
Quelle che nonna non vuole perché dice che mi rovinano l'appetito e i denti e sono troppo unte e...
Uffa! 
Ma adesso dovrebbe essere ora di merenda, no? 
Ecco: le offro anche a lei così ne prende due sacchetti... 
«Invece tu sei proprio una piccola volpe!
Mi fai leggere solo quello che ti fa comodo, caro il mio bel bricconcello!
Coraggio: dammi la manina e, un piede dopo l'altro in men che non si dica, saremo al cospetto dell'omino della caffettiera.»
Con due folti baffi nerissimi, il viso dai lineamenti regolari e vagamente orientali, retaggio di antenati della Magna Grecia, il cappello e la camicia candidi, la cravatta corta sulla pancia con una caffettiera stilizzata ben in vista, un sorriso sempre aperto e pronto, il gestore del punto ristoro pareva essere uscito dagli schermi della televisione della terzultima parte del ventesimo secolo, al termine di un filmato pubblicitario con protagonista la celeberrima moka piemontese.
Chiara aveva sempre avuto quell'idea e Andrea l'aveva sposata così come si accettano le regole della casa che ti ospita: dopo un po' di tempo, le si danno per scontate.
Era andata così anche per il manovale siciliano che non era più tornato oltre lo stretto di Messina, dopo aver regalato quindici mesi di gioventù con le stellette allo stato.
Il sabato e la domenica, comprese le feste comandate, appariva con un motocarro attrezzato persino con una ghiacciaia, oltre a un variegato assortimento di dolciumi e noccioline e bibite; il resto della settimana si dava da fare con calce e mattoni.
Qualcuno cominciò a domandargli di provvedere al pranzo dei colleghi di cantiere e finì per lasciare secchio e cazzuola: la cosa non gli dispiacque affatto e gli parve di aver trovato la sua strada per il successo.
Però, i cantieri si fecero sempre più rari e qualcun altro gli suggerì di piazzarsi ogni giorno in quel parco, accontentandosi di soddisfare le piccole e grandi golosità dei frequentatori: alle carte e alla sicurezza avrebbe provveduto qualcun altro ancora.
Oreste si adattò, non domandò ma aiutò chiunque si affacciasse alla soglia del chiosco con la benedizione dei “santi in paradiso” che, per qualche ragione a lui tuttora ignota, si erano messi in capo di tutelarlo: quella era e doveva rimanere una zona franca, un'oasi nel deserto d'asfalto e sampietrini, un momento di respiro nella lotta per intascare uno spicciolo in più del proprio vicino. 
«La vita è stata generosa con me: ho fatto sempre ciò che mi è piaciuto senza mai annegare nel guano; perchè dovrei essere avaro io con gli altri che stanno messi peggio di me? 
Hai sete? Hai fame? Non hai un soldo in tasca per pagare? 
Fa niente: però dimmelo prima, dimmelo subito, non fare il furbo, non ci provare nemmeno, non ne approfittare. 
Una guerra tra poveri può solamente finire male, senza vinti né vincitori e tutti più straccioni di prima. 
Il modo per saldare i debiti si manifesterà da sé ma, con buona probabilità, mi sarò dimenticato persino d'averti aiutato. 
Giù, da me, dalle mie parti, si dice che bisogna fare il bene e poi scordarselo.»
Questo discorso Oreste lo ripeteva spesso a chi gli contestava una eccessiva attenzione verso i poveri e gli emarginati. 
Per quanto ne sapeva Chiara, che curava da anni la sua contabilità, i crediti generati a quel modo erano rientrati fino al centesimo, ciascuno coi propri tempi: ma aveva saputo anche che l'intero ammontare, arrotondato per difetto, veniva girato alla parrocchia dirimpettaia per le opere di carità ogni mese con una puntualità svizzera. 
Perchè anche lui era passato attraverso quei momenti difficili e duri, sapeva perfettamente cosa si provava e quanto coraggio ci volesse per chiedere aiuto.

©2024 Testo di Claudio Montini - estratto da FUORI TEMPO MASSIMO (Independently published)
©2024 Immagine di Orazio Nullo

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